da: il Mattino di Padova 13/06/2024
Simonetta Zanetti
Giacomo è uscito dalla bolla per prendersi tutta la vita che c'è. E che in altri tempi – recenti – e in altri luoghi – non lontani – gli sarebbe stata negata. Perché Giacomo è nato con un gravissimo deficit del sistema immunitario, sostanzialmente privo di difese ed esposto a tutte le infezioni da virus, batteri e funghi, patologie in grado di sfibrare il fisico. Una condizione che, senza trattamento, ha una prognosi infausta. Ed è solo grazie allo screening neonatale messo in atto dall'Azienda Ospedale Università diretta da Giuseppe Dal Ben che questa malattia genetica rara ha potuto essere diagnosticata in tempi rapidissimi, permettendogli di essere sottoposto a un trapianto di cellule staminali donate dal padre. Una prima assoluta in Veneto, resa possibile grazie a uno screening neonatale esteso (su una sessantina di malattie) introdotto a inizio anno e che si effettua prelevando una goccia di sangue dal tallone nelle prime 48-72 ore di vita: il test, entrato a regime a gennaio, è stato eseguito nella finestra sperimentale dall'equipe del professor Alberto Burlina, direttore dell'Uoc Malattie Metaboliche Ereditarie. Questo ha permesso di curare il neonato con un trapianto eseguito a poche settimane dalla nascita. Una combinazione di eventi che ha permesso di aggiustare il mondo di mamma Martina Gobbo, 35 anni, e papà Nicola Gazzetto, 34, di Sant'Angelo di Piove dopo che questo era crollato loro addosso nei giorni immaginati come i più dolci e spensierati.
Giacomo nasce il 19 novembre 2023: un bimbo sano e sereno, si direbbe. Come tutti, viene sottoposto alla puntura sul tallone per lo screening delle malattie rare. Una prassi a cui nessuno pensa quasi più fino a quando, il 5 dicembre, arriva la telefonata: Giacomo è affetto da immunodeficienza combinata grave. «Per noi è stata una doccia gelata» racconta mamma Martina commossa dietro la mascherina che lei e il compagno indossano ancora quando son fuori casa proprio per proteggere il loro bimbo mentre, giorno dopo giorno, costruisce il suo sistema immunitario. Ma è una strada che ha imboccato la discesa ormai: «Quando ti parlano di malattia rara la prima cosa che ti viene da chiederti è: perché a noi?» ricorda Martina concedendosi un sorriso nuovo.
Il test viene ripetuto due volte, ma non ci sono dubbi e per Giacomo si aprono le porte dell'ospedale: viene messo in isolamento e preparato per il trattamento, compresa la chemioterapia. «Dopo una gravidanza e un parto tutt'altro che facili, quando credi che il peggio sia passato e cominci a prendere le misure con la nuova condizione, ti ritrovi di nuovo in ospedale, con la vita stravolta senza nemmeno capire come sia potuto succedere» prosegue Martina, che nella famiglia è la voce di questa esperienza «io sono una mamma ansiosa, ma in Azienda ci hanno spiegato tutto, passo per passo. Nella tempesta sono stati una famiglia». Il tempo è una variabile fondamentale anche per il successo del trapianto: «Giacomo è il primo bimbo identificato allo screening per immunodeficienze primitive» spiega la professoressa Alessandra Biffi, direttore dell'Uoc Oncoematologia Pediatrica nelle cui funzioni rientra anche l'Immunologia con oltre 100 pazienti seguiti «la positività ci ha portato in pochi giorni alla diagnosi e alla cura, consistita in un trapianto di cellule staminali del sangue. Abbiamo cercato il donatore migliore per compatibilità sia all'interno della famiglia che nelle banche e il papà è risultato il più adatto». Quindi l'intervento, foriero di nuove promesse: «Il 30 gennaio Giacomo ha ricevuto l'infusione di staminali e per noi quello è il suo secondo compleanno» prosegue la mamma. Il bimbo è stato dimesso a metà marzo. I nonni fino ad allora lo avevano visto solo due volte: a casa, crescono i suoi affetti e il suo sistema immunitario. «Quando sarà tutto finito porterò in viaggio il nostro piccolo leone» conclude Martina. Perché, come detto, ci sarà un tempo, per nulla lontano, in cui Giacomo non avrà più bisogno di farmaci e rapporti mediati: «Le cellule del papà lo difenderanno» assicura Biffi «oggi abbiamo la possibilità di identificare molto precocemente patologie che potrebbero determinare prognosi estremamente infauste, prevenirle, curarle e offrire ai piccoli una vita sana e normale». Un gioco di squadra che parte dall'Uoc del professor Burlina che identifica i bambini con condizioni sospette che vengono inviati all'equipe della professoressa Biffi che si occupa della diagnosi molecolare specifica avviando il trattamento più indicato. «Diversamente, questi pazienti devono misurarsi con una vita estremamente limitata, priva di relazioni, astenersi dal contatto con i familiari, sottoporsi a profilassi e ricoveri frequenti perché, nonostante tutte le attenzioni, le infezioni arrivano e possono essere estremamente debilitanti fino al decesso» conclude Biffi «per questo spesso vivono isolati in involucri di plastica». Ora, però, la bolla di Giacomo è esplosa e lui è libero.