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27 Febbraio 2024Fenilchetonuria: per la maggior parte dei pazienti l’impatto sulla qualità di vita è minimo
Fenilchetonuria: per la maggior parte dei pazienti l'impatto sulla qualità di vita è minimo
Tutti gli adulti che hanno compilato il questionario erano stati diagnosticati precocemente tramite screening neonatale, perciò hanno potuto evitare le manifestazioni più gravi della malattia
Padova – Diversi studi sostengono che la qualità di vita degli adulti con fenilchetonuria (PKU) trattati precocemente sia paragonabile a quella delle persone sane. Al contrario, Huijbregts et al. (2018) hanno dimostrato che ci sono delle alterazioni, in particolare per quanto riguarda le capacità cognitive, la rabbia e gli stati d'animo depressivi.
Uno dei motivi di questi risultati discrepanti può essere spiegato dai diversi metodi utilizzati per valutare la qualità di vita: alcuni studi adottano dei questionari generici che probabilmente non sono abbastanza sensibili da cogliere le sottili difficoltà associate alla malattia e alla gestione della dieta. Un'altra spiegazione potrebbe essere l’aver incluso campioni eterogenei, tra cui pazienti pediatrici e adulti, o con forme di PKU classica e non classica.
Per queste ragioni è stato sviluppato e validato nel 2015 un questionario specifico per la fenilchetonuria, chiamato PKU-QoL, che affronta quattro ambiti: i sintomi, l'impatto sul paziente dal punto di vista emotivo, sociale e finanziario, l'integrazione di aminoacidi privi di fenilalanina e l'effetto della restrizione proteica prevista dalla dieta.
La collaborazione fra un gruppo di ricercatori europei – fra i quali gli italiani Alberto Burlina e Chiara Cazzorla, dell'Azienda Ospedaliera di Padova, e Alessandro Burlina e Jessica Carretta, dell'Ospedale San Bassiano di Bassano del Grappa – ha permesso di sottoporre il questionario a 124 adulti con PKU classica provenienti da Italia, Spagna, Svizzera, Ungheria e Turchia, trattati precocemente ma non con pegvaliase o sapropterina dicloridrato.
Questi trattamenti farmacologici introdotti negli ultimi anni consentono ai pazienti un maggiore apporto di fenilalanina, ma un numero considerevole di pazienti con PKU classica non risponde alla sapropterina o mostra reazioni di ipersensibilità significative al trattamento con pegvaliase: ciò lascia come unica soluzione, per la maggior parte di loro, una dieta povera di fenilalanina combinata con un’integrazione di aminoacidi. Il trattamento precoce previene con successo gravi conseguenze a lungo termine, fra cui ritardo mentale, deterioramento neurologico e problemi psichiatrici; mantenere questa dieta per tutta la vita, però, è complesso, e l’aderenza alla terapia può essere molto difficile: la maggior parte degli adulti, infatti, non riesce a seguire le indicazioni e ha livelli di fenilalanina più elevati di quelli raccomandati dalle attuali linee guida.
Nel corso dello studio i ricercatori hanno raccolto informazioni sui livelli di fenilalanina dei pazienti (rilevati al momento della compilazione del questionario e nell'ultimo anno), sulle loro caratteristiche demografiche (età e sesso) e sulle variabili cognitive (quoziente di intelligenza, QI). I risultati della ricerca sono stati pubblicati recentemente sull'Orphanet Journal of Rare Diseases e hanno evidenziato che nella popolazione in studio l'impatto della malattia sulla qualità di vita è minimo, se non nullo: più di tre quarti dei pazienti, infatti, hanno valutato il proprio stato di salute come buono, molto buono o eccellente.
Ciò nonostante, da alcune risposte sono emersi segnali di apprensione: in particolare, i pazienti hanno rivelato di provare un senso di colpa se non riescono a rispettare la rigida restrizione proteica prevista dalla dieta, e di essere molto preoccupati per i livelli elevati di fenilalanina in caso di gravidanza. I risultati del questionario, inoltre, hanno messo in evidenza altri due problemi: la stanchezza (che è stato il sintomo più segnalato) e il gusto sgradevole degli integratori. L’impatto complessivo della malattia, infine, non pesa allo stesso modo su tutti: è risultato maggiore nelle donne e negli adulti con un QI più basso, mentre l’effetto delle restrizioni dietetiche è stato maggiore negli adulti con livelli di fenilalanina più elevati.
Secondo gli autori dello studio, un impatto così basso della malattia nella maggior parte dei domini valutati riflette il successo dell’implementazione dello screening neonatale, che ha consentito di prevenire molte delle gravi manifestazioni della patologia possibili a lungo termine. I medici, tuttavia, dovrebbero dedicare un'attenzione particolare alle donne, ai pazienti con un QI più basso e a quelli con livelli di fenilalanina più alti: queste variabili, infatti, sono associate a una qualità di vita inferiore.