Padova – Verona, ennesimo round
14 Maggio 2011Swedish Orphan Biovitrum (SOBI) la risposta globale alle malattie rare
16 Maggio 2011Terapie: oggi diete e farmaci, domani sempre più genetica
Diverse strategie possono servire a fronteggiare le patologie
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Ha certo ragione il genetista Bruno Dallapiccola, rappresentante del ministero della Salute per le Malattie rare e direttore di Orphanet-Italia, la più autorevole banca dati di riferimento in questo campo: «Non ci sono risposte per tutti i malati rari. Nel 50% dei casi ancora oggi non si raggiunge la diagnosi, e quando la si raggiunge spesso è tardiva. E i trattamenti sono ancora insoddisfacenti per molte di queste malattie».
Proprio nel campo delle terapie, ricerca e clinica sulle malattie rare hanno però prodotto anche buoni risultati. Le cure non garantiscono la guarigione, certo. Ma in molte patologie assicurano non solo la sopravvivenza ma a anche una buona qualità di vita. Nel caso specifico dell’adrenoleucodistrofia, che colpisce le cellule cerebrali, e delmorbo di Pompe, che invece danneggia muscoli e cuore, le risposte sono arrivate anche grazie all’ostinazione dei genitori dei piccoli pazienti. Le vicende eccezionali delle famiglie Odone e Crowley sono diventate note al grande pubblico grazie ai film «L’olio di Lorenzo» e «Misure straordinarie».
Ma che cosa si è fatto e quali sono gli scenari futuri delle terapie? La terapia delle malattie genetiche rare, che sono l’80%, si muove su quattro livelli: genica, sostitutiva, dietetica o farmacologica e infine terapia non mirata. «La prima è la risposta teoricamente più avanzata, perché risolutiva in quanto si propone di modificare il gene difettoso, ma non ha al momento prodotto risultati particolarmente significativi — spiega Faustina Lalatta, responsabile dell’Unità operativa di genetica medica all’ospedale Maggiore Policlinico di Milano —. Le cure mediante la dieta o farmacologiche funzionano molto bene ad esempio per lafenilchetonuria o il deficit di piridossina. Molto più spesso però ci si deve accontentare di una terapia di sostegno, non mirata alla causa della malattia, e l’obiettivo sarà in questi casi la cura degli effetti della malattia, come il ritardo motorio, i disturbi neuropsichici, l’insufficienza d’organo, la malnutrizione. In sostanza si lavora per la riabilitazione del malato».
Più promettente e con maggiori risultati, è la terapia sostitutiva in grado di prevenire le principali manifestazioni e complicanze della malattia. «La terapia enzimatica sostitutiva è iniziata nei primi anni ’90 per la malattia di Gaucher e funziona molto bene — racconta Rossella Parini, a capo dell’Unità di malattie metaboliche rare pediatriche all’ospedale San Gerardo di Monza —. Poi per 10 anni non si è fatto più niente per vari motivi: ci si aspettava che la terapia genica andasse avanti più velocemente e le aziende farmaceutiche non avevano la garanzia che ci fosse un mercato e dunque non investivano. Oggi il brevetto è coperto per 10 anni e c’è la lotta per far uscire farmaci nuovi». Nella terapia delle malattie rare rientrano anche i trapianti: nelle leucemie infantili, quelli di cellule staminali ematopoietiche hanno portato alla guarigione nell’80% dei casi. Oppure i trapianti d’organo, come nelle occlusioni congenite dei dotti biliaridove la sostituzione del fegato diventa un salvavita. Anche in alcune malattie degenerative del rene, il trapianto può essere risolutivo. «Poi c’è tutta una nuova parte di malattie non enzimatiche ma congenite legate a difetti nella regolazione dell’infiammazione — dice Alberto Martini, direttore di Pediatria II all’ospedale Gaslini di Genova —. Un gruppo di queste sono le criopirinopatie legate ad un’ iper-attivazione di una citochina pro-infiammatoria: di recente approvazione è una terapia con un anticorpo monoclonale di questa citochina che dà risultati ottimi in termini anche di miglioramento della qualità della vita».
Dopo la débâcle di venti anni fa, la terapia genica sta riprendendo quota. «Uno dei modelli è per la talassemia, dove la terapia genica mira a modificare quel particolare punto specifico del gene globina e reimmettere nell’organismo cellule funzionanti che producano globina — aggiunge Faustina Lalatta —. Sembra un modello abbastanza semplice, sulla carta, anche se sono anni che diversi gruppi di ricercatori ci lavorano e solo nel prossimo futuro verranno reclutati i primi casi a livello clinico. Prospettive di terapia genica ci sono anche per il deficit dell’enzima adenosina deaminasi (ADA-scid) e, si spera, per la fibrosi cistica». Nel futuro prossimo però si profila anche la creazione di bioreattori, dispositivi che facilitano la crescita di cellule o tessuti. «Potranno essere impiantati nel paziente per una produzione a lungo termine di proteine terapeutiche» conclude Lalatta.