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Da : Panorama della Sanità 20/06/2022
Screening Neonatale e Reti di Riferimento Europee: se lo Sne è dedicato espressamente ai più piccoli, le parole d’ordine – condivisione, collaborazione, sinergia – tradotte in metodi e strategie, sono le stesse che animano le 24 Ern
di Domenica Taruscio*
Una diagnosi precoce, si sa, può cambiare la vita. Se poi arriva addirittura a ore o a pochi giorni dalla nascita, ed è la diagnosi di una malattia rara, che, se scoperta tardi, assottiglierebbe o annullerebbe i margini di intervento per evitare pesanti invalidità e in certi casi addirittura la morte, i vantaggi non sono davvero pochi. È per questo che la Legge del 19 agosto 2016, n. 167, promuove un principio di civiltà e si situa all’avanguardia nel contesto della sanità pubblica. Essa, infatti, rende obbligatorio in Italia lo Screening Neonatale Esteso (Sne), ossia la possibilità, per i genitori, di sapere se il loro figlio potrebbe sviluppare una delle circa 40 Malattie Metaboliche Ereditarie incluse nel programma di screening, e, per i neonati con diagnosi positiva, di poter usufruire dei vantaggi di un trattamento e di una presa in carico precoce.
Non solo la Legge 167/2016 ha inserito lo Sne nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), così da garantire l’offerta gratuita dello screening a tutti i nuovi nati, ma il successivo Dm del 13 ottobre 2016 ha indicato le disposizioni pratiche per la realizzazione dello Sne, per il follow-up e per la presa in carico tempestiva e appropriata del neonato eventualmente positivo. Un traguardo, dunque, sancito da due fondamentali atti normativi, che tuttavia non sarà pienamente tagliato fino a quando non cesseranno tutte le disparità nell’accesso allo Sne. A tal fine, per favorire cioè l’uniformità nell’applicazione sul territorio nazionale della diagnosi precoce neonatale, la stessa Legge 167/2016 ha introdotto un sistema di monitoraggio istituendo all’Iss il Centro di Coordinamento sugli Screening Neonatali (Ccsn).
Il cammino verso quello che è un vero e proprio diritto alla salute per ogni bimbo è andato avanti e la consapevolezza di quanto e come lo Sne serva a questo scopo segue un trend in crescita, di cui vorrei sottolineare due recenti tappe: l’istituzione lo scorso anno di un Gruppo di lavoro ministeriale con l’obiettivo di aggiornare periodicamente il panel delle patologie da sottoporre a Sne e definire il protocollo operativo, ossia l’eventuale percorso di cura, assistenza e accesso alle terapie; e il nostro corso di formazione online rivolto al personale sanitario di tutte le Regioni e PA. Quest’ultimo, organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità e con il supporto di tutti i membri del Ccsn e svoltosi dal novembre 2020 al marzo 2021, non ha fatto mancare i suoi frutti: infatti, dati alla mano, si è potuto registrare un notevole incremento delle conoscenze e competenze sugli aspetti tecnici e organizzativi legati al sistema Sne in tutti i partecipanti che ha sfiorato il 90%. Un risultato che brilla ancora di più se si considera che la percentuale di partenza delle conoscenze era di circa il 55%. Questo significa che conoscenze, pratiche e abilità in merito alla promozione e raccolta del consenso informato, alle caratteristiche che il campione di sangue deve avere per essere accettato e analizzato dal laboratorio o alla temperatura idonea alla sua conservazione durante la spedizione sono state in tanti casi acquisite, in altri cresciute e approfondite. E siamo pronti a procedere in questa direzione, con una nuova edizione del percorso nell’autunno ormai alle porte.
Lo Sne, dunque, non è solo un test, ma un programma complesso, integrato e multidisciplinare di prevenzione secondaria che coinvolge molti attori: istituzioni centrali e regionali, laboratori, centri clinici, associazioni di pazienti, società scientifiche e popolazione generale. Da qui la necessità di creare sinergie, consapevoli che stiamo affrontando una grande sfida, quella di garantire a ogni neonato l’opportunità di crescere, quanto più possibile, in salute.
C’è poi un’altra sfida che guarda oltre i confini nazionali e oltre l’età dei pazienti. Perché se lo Sne è dedicato espressamente ai più piccoli, le parole d’ordine – condivisione, collaborazione, sinergia – tradotte in metodi e strategie, sono le stesse che animano le 24 Reti di Riferimento Europee (Ern), network di centri di eccellenza ospedalieri in grado di offrire ai pazienti rari le migliori prestazioni sanitarie possibili, evitando loro l’odissea di migrare in questa o quella regione, o addirittura all’estero.
Le Ern utilizzano, infatti, una piattaforma IT per effettuare la consultazione virtuale di gruppi multidisciplinari di esperti sia all’interno che fuori dai confini nazionali, assicurando che le competenze necessarie raggiungano il paziente, e non viceversa. Quindi, una duplice opportunità: per medici e ricercatori quella di poter lavorare a livello transfrontaliero in Europa; per i pazienti quella di poter usufruire di una consulenza altamente specializzata basata sulle competenze più esperte e recenti. E questo non è di poco conto quando si parla di malattie rare e complesse, con pochi pazienti e per di più disseminati su una vasta area. I pazienti stessi, inoltre, sono attivamente coinvolti attraverso i Gruppi Europei di Rappresentanza anche relativamente alle attività decisionali delle reti stesse.
Tra i frutti principali del lavoro delle Ern vi è poi l’elaborazione di Linee Guida (Lg) cliniche per singola malattia o gruppi di malattie. Compito che monitoro personalmente in qualità di Presidente del Comitato nell’ambito del Programma comunitario dedicato appunto alle Lg delle Ern. Un’attività che mira a standardizzare le “buone pratiche”, un lavoro, dunque, che sfocia in implicazioni e ricadute concrete. Anche questa una sfida. Sempre al servizio dei pazienti.
*Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare – Istituto Superiore di Sanità