VENEZIA—Dopo quattro anni di guerre di campanile, genitori sulle barricate, commissioni e delibere, la Regione ha deciso di mantenere in vita entrambi i Centri di malattie metaboliche ereditarie interni alle Aziende ospedaliere di Padova e Verona. Tutte e due le strutture dal primo gennaio 2014 eseguiranno lo screening neonatale allargato sui 45 mila nuovi nati all’anno in Veneto. Si tratta di un test capace di diagnosticare le malattie metaboliche ereditarie e quindi di salvare almeno 60 vite ogni 40 mila. Finora però il duello in corso aveva limitato la verifica sulla presenza o meno di sole sette patologie, ricomprese nei Livelli essenziali di assistenza (pagati dal Servizio sanitario nazionale), eseguita dal reparto scaligero, dal 1976 riconosciuto da Palazzo Balbi quale unico polo autorizzato per Veneto, Friuli e Trentino Alto Adige. Ma il «gemello» della città del Santo è stato dotato dall’Associazione «Cometa A.s.m.m.e.», fondata nel 1992 dai genitori dei bimbi malati, di una sofisticata strumentazione del valore di 400 mila euro (più 100 mila spesi per il laboratorio che la ospita) in grado di ampliare l’accertamento a 40 patologie. Esattamente quello che si intende per «screening allargato ».
Peccato però che dal 2009 tale tecnologia sia rimasta inutilizzata, proprio per il mancato via libera della Regione, ora in procinto non solo di farla partire ma anche di acquistarne una uguale per Verona. La delibera approvata ieri dalla giunta Zaia stabilisce infatti che il centro della città del Santo esegua lo screening sui nati nelle province di Padova, Venezia, Treviso e Belluno (26 mila l’anno), mentre quello scaligero si occupi dei 19 mila piccoli partoriti sul proprio territorio e in quelli di Vicenza e Rovigo. Si partirà con il test su 24 malattie, per poi allargare lo spettro. A fronte del nuovo impegno verrà ampliato l’organico di entrambi i reparti, con l’assunzione di tre collaboratori tecnico- professionali laureati, un biologo e due medici per Verona; di un biologo specializzato in Medicina di laboratorio, due tecnici di laboratorio, un amministrativo e due medici per Padova, cui spettano anche la presa in carico dei malati individuati dallo screening e la cura. Va sottolineata l’anomalia in cui versa quest’ultimo servizio, finanziato per la gran parte da «Cometa Asmme», finora costretta a raccogliere 130 mila euro l’anno per mantenere psicologa, dietista, segretaria, un tecnico di laboratorio, reagenti e software gestionale necessari alle uniche due figure pagate dall’ospedale: il primario dell’Unità operativa complessa, dottor Alberto Burlina, e un altro medico.
In vent’anni l’associazione ha tirato fuori 1,2 milioni per attrezzature, arredi ma anche per borse di studio e contratti a progetto di medici e non. «E adesso a Verona comprerà tutto la Regione—sospira la presidente, Anna Maria Marzenta—ma a questo punto l’importante è partire. Abbiamo già perso troppo tempo, a scapito di almeno 100 vite».
«Ci abbiamo messo tempo, però ne è uscita una soluzione di buonsenso, che offre il meglio ai bimbi, veneti e delle regioni limitrofe — ribatte l’assessore alla Sanità, Luca Coletto —. Così potremo sostenere lo sviluppo di entrambi i centri». La delibera precisa infatti che lo screening allargato è «livello aggiuntivo di assistenza regionale, la cui copertura sarà subordinata al pareggio di bilancio ». «Proprio nell’ottica dell’equilibrio di bilancio sarebbe bastato un centro solo e Padova aveva competenze e strutture adeguate—dice Claudio Sinigaglia, consigliere regionale del Pd—basta che adesso non si debba aspettare Verona». «Non c’erano le condizioni per fare un unico reparto —risponde Leonardo Padrin, presidente della commissione Sanità — comunque la delibera è un punto di partenza per risolvere il problema. Poi vedremo ».
Michela Nicolussi Moro
24 luglio 2013