Un argomento, questo, che mi agita parecchio… già sento riaffiorare dentro di me la rabbia, la frustrazione, il dolore per quello che abbiamo vissuto prima di arrivare alla diagnosi di Acidemia Metilmalonica di cui è affetto mio figlio Giuliano e che, purtroppo, non è stato senza conseguenze.
Ma andiamo per ordine e, prima che le emozioni dei ricordi prendano il sopravvento sui polpastrelli rendendoli indomabili nel raccontarvi la nostra storia, vediamo di capire come e in che tempi si possono diagnosticare le Malattie Metaboliche Ereditarie.
I sintomi… verso una diagnosi
La diagnosi delle Malattie Metaboliche Ereditarie non è quasi mai immediata, sia perché si tratta di malattie la cui rarità comporta una maggior difficoltà nel riconoscerle, sia per il fatto che i sintomi sono talmente variegati che spesso vengono scambiati con quelli di altre patologie: da qui un inevitabile quanto pericoloso ritardo diagnostico.
Quelle poche volte in cui la diagnosi arriva “subito” sai perché accade? Sei incappato in un medico che ha già avuto un caso simile al tuo o che (rarissimo!) conosce questo tipo di patologie.
La diagnosi delle MME, infatti, è possibile solo mediante analisi biochimiche particolari, che non fanno parte di quelle comunemente svolte in prima istanza: è necessaria, quindi, la valutazione di un quadro clinico di insieme che faccia “insospettire” il medico, spingendolo a fare ulteriori e specifici esami alla ricerca di queste patologie.
Le forme più severe di MME si manifestano nei primi giorni di vita, non appena il neonato inizia ad alimentarsi autonomamente.
I sintomi, inizialmente generici (sonnolenza, vomito, debolezza nella suzione), diventano sempre più gravi ed intensi nel giro di poche ore: ipotonicità neuro muscolare, movimenti anomali, convulsioni, coma, fino alla morte.
Nelle forme meno gravi, invece, le MME si manifestano più tardi e non sempre con sintomi acuti come quelli sopra descritti.
Possono manifestarsi con un ritardo di sviluppo, con sintomi neurologici degenerativi (come la perdita delle capacità acquisite), con aneurisma, ischemie, insufficienza renale, ecc.
È possibile una diagnosi prenatale?
Le MME, trattandosi di malattie genetiche rare possono essere diagnosticate solamente in presenza di determinate condizioni e circostanze.
In una famiglia in cui non si è mai manifestata una malattia metabolica, una diagnosi prenatale è praticamente impossibile, non essendo nota la mutazione genetica da cui deriva la malattia stessa e, quindi, “cosa ricercare” nel DNA.
Di contro, se in una famiglia si è già manifestata una malattia metabolica della quale è stata identificata la mutazione genetica (con test del DNA successivo alla nascita), i familiari più prossimi al paziente affetto da quella MME potranno eseguire un’indagine genetica prenatale, limitatamente alla ricerca di quella determinata patologia.
Nel nostro caso, Giuliano è stato il primo in famiglia a manifestare la malattia metabolica di cui è affetto, quindi nessuna diagnosi prenatale sarebbe stata possibile.
Ma una diagnosi precoce oggi si può
Solo recentemente, con l’approvazione della legge 167/2016, sono stati inseriti nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) i protocolli di screening neonatale anche per le malattie metaboliche. Oggi, quindi, un esame specifico svolto a poche ore dalla nascita del bambino permette di individuare e/o escludere oltre 40 patologie metaboliche tra le più diffuse.
L’identificazione di tali patologie nei primi giorni di vita è essenziale per intervenire in tempo e per evitare le conseguenze gravi sulla salute del neonato: giocando di anticipo, quindi, è possibile intervenire a livello terapeutico, farmacologico e dietetico e contenere, se non eliminare, i possibili danni neurologici che sono i primi a manifestarsi.
Quando lo screening non basta
Ma a volte, lo screening metabolico non basta, da solo, a prevenire i danni creati da una di queste malattie al loro esordio.
Circa un anno fa, in un convegno per addetti ai lavori, in cui io e un’altra mamma ci siamo “intrufolate”, ho avuto occasione di ascoltare tra i relatori le parole del Dott. Carlo Dionisi Vici del Bambino Gesu di Roma e del Dott. Alberto Burlina dell’Azienda Ospedaliera di Padova: medici di fama internazionale, l’ultimo dei quali segue mio figlio.
L’intervento del Dott. Burlina, chiaro e schietto essendo indirizzato a medici ed infermieri, è stato uno schiaffo a pieno viso: le sue parole mi hanno riportata indietro nel tempo, a quell’ospedale di provincia in cui è nato mio figlio, a quel personale medico di guardia in quelle sue prime ore di vita… volti che non voglio più vedere in vita mai ma che, al contempo, non dimenticherò mai… persone che avrebbero cambiato la vita di mio figlio se solo avessero agito diversamente.
Burlina, dopo aver ovviamente sottolineato l’importanza dello screening metabolico per il quale, assieme ai suoi colleghi, tanto si è battuto, ha aggiunto una cosa molto importante: in considerazione del fatto che occorre attendere alcuni giorni per avere i risultati dello screening metabolico effettuato sul neonato, ha ammonito il personale medico che si trovi di fronte ad un quadro clinico complesso, con valori biochimici apparentemente “slegati” tra loro, a non sottovalutare la situazione adoperandosi subito con ulteriori specifici esami.
In particolare, ha aggiunto che di fronte ad un ammonio alto, è necessario mettere immediatamente il neonato “in sicurezza” in terapia intensiva e proteggerlo a livello neurologico, perché <<…l’ammonio alto brucia cellule cerebrali, e una volta danneggiate poi c’è poco da recuperare>>.
Sapevo bene di cosa stava parlando, ed in quel momento tutto mi è apparso più chiaro riguardo la situazione di mio figlio. Avrei voluto alzarmi in piedi e chiedergli “dottore ma allora è questo che ci rende inspiegabile la gravità della situazione neurologica di Giuliano?”… Ma le lacrime erano troppe ed incontenibili, e dalla mia bocca nulla sarebbe potuto uscire in quel momento.
Il mio Giuliano infatti…
Mio figlio a poche ore dalla nascita ha mostrato subito i primi segni della malattia… segnali che sono stati sottovalutati ma che erano sin da subito indice di una grave intossicazione, di cui oggi porta le conseguenze.
Sempre più ipotonico, infatti, noi genitori ci sentivamo liquidare con un <<Signora lei è ansiosa: suo figlio è solo stanco perché lei lo stressa con questo allattamento al seno>>… Sento ancora la rabbia di questa colpa che mi hanno ingiustamente buttato addosso per coprire la loro incapacità di fare alcunché in quella situazione.
Impotenti davanti a nostro figlio che vedevamo letteralmente abbandonare la vita, scoprimmo presto e “per vie traverse”, che Giuliano aveva l’ammonio a valori altissimi.
Pretendemmo, non senza dover lottare, di farlo trasferire al vicino Ospedale Regionale di Torrette (An) e di lì all’Ospedale pediatrico Salesi, dove a poche ore dal nostro arrivo, una dottoressa, giovanissima me reduce da un’esperienza e da studi in campo metabolico, per prima parlò di MME… e a Giuliano, finalmente in terapia intensiva, fu salva la vita.
Se solo…
Se solo tutto il personale medico fosse aperto all’ascolto del genitore, se fosse più umile nel riconoscere in certe occasioni i propri limiti richiedendo consulenze esterne, se fosse meno restio a trasferire il proprio paziente in un centro “più attrezzato” piuttosto che considerarlo “di sua proprietà”, se la formazione universitaria comprendesse anche lo studio delle patologie metaboliche…
Questo, però, non deve offuscare la professionalità, la preparazione, la dedizione e la passione per il proprio lavoro della maggior parte di loro, mai.
Da quella prima terribile esperienza ospedaliera con mio figlio, ne sono seguite moltissime altre in cui ho affidato con fiducia totale la sua vita a medici che si sono dimostrati pronti e sicuri nel prendersi cura di Giuliano: medici che stimo e ai quali sarò sempre grata… a loro e a coloro che incontrerò alleati nella nostra lunga battaglia contro le MME.