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9 Luglio 2009Morbo di Batten – Le sorelline che moriranno a 12 anni
Le sorelline che moriranno a 12 anni
Jayne Lennon ha deciso di raccontare sui giornali e in
Internet la sua vicenda: qualcuno mi dia una
possibilità
MILANO – Ashleigh e Alisha non diventeranno mai grandi. Hanno sei e tre anni e difficilmente ne compiranno dodici. Soffrono di una rarissima forma del morbo di Batten, disturbo genetico che blocca la funzione metabolica del cervello, condannando chi ne è affetto a una regressione inesorabile. I bambini smettono di camminare, di parlare, di alimentarsi autonomamente. La vista cala e poi scompare. E la morte arriva prima dell’adolescenza. Un destino che la madre delle due bimbe, Jayne Lennon, 35 anni di Lancaster, Inghilterra occidentale, fatica ad accettare. Dopo aver sondato tutte le possibili vie mediche senza risultato, ha accettato che le sue bambine posassero per un servizio fotografico. Le immagini sono poi state diffuse in Internet grazie a un sito che veicola storie nel mondo. E delle due bimbe hanno già parlato siti e giornali inglesi, croati, romeni, turchi, vietnamiti, indiani e di molti altri Paesi. Il sogno è che qualcuno, da qualche parte nel pianeta, abbia da offrirle almeno una speranza a cui aggrapparsi.
Le sorelline Lennon sono nate sanissime e oggi appaiono bionde, paffute e vispe. Ashleigh, la più grande, per quattro anni non ha accusato alcun fastidio. Poi, all’asilo, i primi sintomi: «Sembravano attacchi di epilessia – ha raccontato al Daily Mail Jayne Lennon -. In un primo momento pensai che non c’era molto da preoccuparsi. Ma le convulsioni sono aumentate, diventando sempre più frequenti. Lessi su Internet della malattia di Batten, e in effetti i sintomi c’erano tutti, ma credevo impossibile che le fosse capitato un male così raro». La bimba ha prima perso l’uso delle gambe, poi della parola, ora comincia ad accusare i primi problemi alla vista che per i medici perderà del tutto nel giro di qualche anno. A novembre un test ha cancellato anche il futuro della più piccola. Aveva tre possibilità su quattro di scampare all’errore genetico. Purtroppo le è andata male. I sintomi non si sono ancora manifestati, e per il momento Alisha cammina e parla normalmente. Ma presto entrerà in azione anche per lei il congegno della malattia che fa girare a ritroso l’orologio della crescita. «Ti spacca il cuore assistere al lento peggioramento di Ashleigh – ha aggiunto la madre – sapendo che presto anche Alisha subirà la stessa sorte».
Il modo migliore per affrontare la disperazione è fare un passo alla volta. La donna ha quindi iscritto le due figlie a una scuola speciale, in cui riescono ad esprimersi e a giocare ignorando ansie e paure del domani. Insieme alla primogenita Lucy, graziata dalla malattia, la mamma si dedica giorno e notte alle due piccine di casa. «Ricordo il giorno in cui il dottore mi disse che poteva trattarsi di questa rarissima forma di disturbo genetico – aggiunge Jayne – e che Ashleigh sarebbe morta dopo un mare di sofferenze. Per me fu uno shock devastante». Per il morbo di Batten non esistono cure efficaci. «Il nome tecnico è ceroidolipofuscinosi neuronale – spiega Maria Grazia Roncarolo, che dirige l’unità di ricerca clinica pediatrica del San Raffaele di Milano – si presenta sotto otto diverse forme, differenti per sintomatologia ma ugualmente mortali».
In Italia si contano poche decine di casi, un centinaio nel mondo. Per tutti le possibilità di guarigione sono praticamente inesistenti. Quattro anni fa, l’Oregon Health and Science University di Portland, negli Stati Uniti, ha avviato la sperimentazione di una terapia basata sul trapianto di cellule staminali nel cervello. Il trattamento, quanto meno, non ha prodotto effetti collaterali. Ma neppure ha dato segni di miglioramento; la soluzione è ancora lontana. I tempi della scienza sono insomma lenti e alla signora Lennon non resta che aspettare. Da quando ha saputo che il destino delle sue adorate bambine è già scritto viene seguita dagli psicologi di un’associazione, la Rainbow trust, che aiuta le famiglie di bimbi condannati a malattie terminali: «È davvero difficile andare avanti ma almeno mi è di conforto vedere le mie figlie felici, non sanno ancora cosa il futuro riserva loro».
Antonio Castaldo
06 luglio 2009