LEA: ennesimo paradosso sanitario italiano.
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“Buon compleanno LEA! Quest’anno sono 5 anni.” Ma chi è LEA? Potresti pensare a una bambina ma, in questo caso, LEA sta per: Livelli Essenziali di Assistenza.
I nuovi LEA compiono 5 anni perché nati nel 2017 da un DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri). Sono chiamati “nuovi” perché l’ultimo decreto è andato a sostituire un altro decreto. Quello del 2001. Anno in cui sono stati definiti per la prima volta.
Ma questi “nuovi” Livelli Essenziali di Assistenza di nuovo non hanno niente. Anzi, si potrebbero chiamare “vecchi LEA”. Il motivo? Sono ben 5 anni che tanti bei propositi sono fermi. Nobili intenzioni arenate nelle paludi politiche italiane. Scritti su carta, sottoforma di legge. Una legge che dopo anni, purtroppo, non è ancora entrata in vigore.
Ma cosa sono i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza? Qual è l’inghippo che non fa entrare in vigore il decreto? E che cosa si sta facendo nel frattempo? Questi gli argomenti che andiamo a trattare nell’articolo.
I “nuovi LEA”.
Il Ministero della Salute definisce i Livelli Essenziali di Assistenza come: “ […] le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini attraverso la gratuità o dietro il pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte con la fiscalità generale (tasse).”
I LEA sono stati definiti per la prima volta nel 2001 per poi essere sostituiti interamente con un nuovo decreto nel 2017 che però non è stato ancora attualizzato.
Il provvedimento ridefinisce e aggiorna gli elenchi delle malattie rare e delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione del ticket. Inoltre, introduce nuovi accertamenti per patologie neonatali.
Aggiornare i LEA significa garantire l’accesso a cure migliori, appropriate ed innovative per tutti i cittadini italiani. Ai pazienti e alle loro famiglie. In modo uniforme, da nord a sud. Invece, questa lunga attesa, ha solo generato ancora più disparità tra le Regioni d’Italia.
Servizi di serie A e servizi di serie B per i cittadini italiani, a seconda delle diponibilità economiche delle Regioni. Tanto che si è arrivato a parlare di “Extra LEA”. Ovvero le Regioni più ricche, o meglio, in “equilibrio finanziario”, sono riuscite a erogare prestazioni ai propri cittadini con l’utilizzo dei propri fondi e delle proprie risorse. Si parla di: Lombardia, Val d’Aosta, Veneto, Emilia Romagna e Toscana.
La mancata entrata in vigore del decreto del 2017 ha dunque messo in crisi – come ormai troppo spesso riscontriamo – il dovere inderogabile del sistema sanitario pubblico di garantire a tutti i cittadini gli stessi servizi.
Dov’è l’inghippo?
Sembra strano pensare che un decreto approvato dai Ministero e firmato dalle Regioni sia fermo da 5 anni. Chi blocca la sua attuazione? Le stesse Regioni.
Le Regioni devono approvare un documento, il Decreto Tariffe, eppure non lo fanno. Forse vogliono più fondi? Solo nel momento in cui questo documento verrà firmato il DPCM LEA 2017 entrerà in vigore.
E con esso gli aggiornamenti connessi. Perché in questi 5 anni, si è anche lavorato ad aggiornare i nuovi LEA. Si è aggiornato il panel dello screening neonatale e sono state inserite nuove patologie in quelle esenti dal pagamento del ticket.
Inoltre senza aggiornamenti, non si possono ricevere i 200 milioni che il Governo ha già individuato per i futuri aggiornamenti. Ma come si può parlare di futuri aggiornamenti se manca il primo? Anzi, come si fa ad aggiornare una legge che non è entrata ancora in vigore? Un bel paradosso.
Che cosa si sta facendo.
Chi ci rimette in questo tira e molla politico? I pazienti. I malati rari e cronici, tra cui quelli con malattie metaboliche ereditarie (MME), non possono aspettare. Il tempo, per loro, è prezioso. Le patologie di cui sono affetti hanno un decorso estremamente veloce e dagli esiti, molto spesso, invalidanti.
Più di 130 associazioni pazienti hanno chiesto alle Regioni la firma immediata del Decreto Tariffe. “Aggiornate subito i LEA”, questa è la loro richiesta. I malati non possono più aspettare.
Noi di Cometa ASMME (Associazione Studio Malattie Metaboliche Ereditarie), insieme ad altre 24 associazioni di pazienti rari, abbiamo sollecitato le Istituzioni a prendere immediatamente provvedimenti per inserire nello screening neonatale esteso nuove patologie gravissime. Naturalmente, a livello nazionale e non solo in Veneto, dove abbiamo fatto l’impossibile per arrivare a offrire lo screening neonatale per 54 malattie rare, sperando di dare l’esempio al Governo. Ma la legge nazionale, dal 2016, è ancora ferma a 48.
Malattie che possono essere trattate con efficacia, esiste una terapia, solo se identificate precocemente, con un semplice test alla nascita. Altrimenti, possono portare a gravi disabilità o addirittura alla morte del neonato.
Ma non solo. In una lettera inviata al Ministero della Salute abbiamo chiesto un potenziamento dei centri cura. Più personale specializzato, potenziamento di laboratori e assistenza riabilitativa per garantire ai pazienti affetti da malattie rare una terapia di qualità.
Non esistono malattie rare di serie A o di serie B. Sono tutte importanti, nella loro gravità. E tutte, ancor più se esiste una terapia efficace se iniziata subito, dovrebbero poter essere individuate nello stesso modo, tramite un semplice test, nello stesso momento, alla nascita del neonato.
Così come non esistono cittadini di serie A o di serie B. Siamo tutti uguali per il sistema sanitario pubblico, a prescindere dalla Regione in cui abitiamo (o almeno dovremmo esserlo). Tutti noi dovremmo poter usufruire degli stessi servizi sanitari, specialmente se si tratta dell’individuazione e del trattamento di patologie rare gravissime.
Dunque, la qualità della vita dei cittadini può davvero essere oggetto di un tira e molla politico che dura da anni?
– Valentina Decio
Fonti:
• salute.gov.it
• temi.camera.it
• epicentro.iss.it
• osservatoriomalattierare.it