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30 Ottobre 2017GENITORI E MALATTIE RARE
Da : O.Ma.R. Autore: Enrico Orzes
I genitori di bambini affetti da malattie rare si trovano a dover fronteggiare enormi difficoltà. Quali strumenti possono garantire un valido supporto a queste famiglie?
La cronaca delle ultime settimane ha portato prepotentemente all’attenzione il caso del piccolo Charlie Gard, affetto da una rarissima sindrome da deplezione del DNA mitocondriale che lo ha inchiodato ad un lettino e destinato a respirare attraverso delle macchine. La sua storia ha messo il mondo di fronte ad una coppia di genitori che per il proprio figlio ha lottato da sola contro tutto e tutti, accettando che Charlie non sarebbe sopravvissuto a lungo.
Appare innegabile che essere genitori di un figlio affetto da una malattia rara richieda coraggio, oltre che una sovrumana forza d’animo, per dare un significato ad un pannello di sentimenti ed emozioni che nessuno mai vorrebbe sperimentare. Alla luce di ciò, è essenziale comprendere quale sia il ruolo di un genitore che debba farsi carico della malattia del figlio e, soprattutto, in che modo i genitori possano rispondere adeguatamente alle problematiche e alle criticità che si possono presentare dal concepimento alla nascita, fino ai primi anni di vita del bambino.
In tal senso, c’è subito un punto che merita di essere messo a fuoco: il concetto di counselling preconcezionale, definito dal Ministero della Salute e dalle varie Società Scientifiche come “uno spazio di attenzione non episodico, integrato nella propria attività quotidiana, a variabile intensità comunicativa, in cui qualunque sanitario di fiducia, utilizzando le proprie conoscenze scientifiche e le proprie abilità comunicative, propone alla coppia in età fertile, o in vista di una gravidanza, una o più raccomandazioni per ridurre i rischi biomedici, comportamentali e sociali associati agli esiti della riproduzione, tenendo conto dei loro valori, dei loro stili di vita, della loro storia clinica, riproduttiva e familiare”. L’intento è di prevenire o ridurre il rischio di alcuni specifici eventi avversi della riproduzione, tra cui patologie congenite, prematurità e basso peso neonatale, oltre che promuovere la salute della futura madre e del bambino. “Offrire il counselling preconcezionale significa entrare strategicamente nei meccanismi decisionali delle persone, aiutandole ad esplorare i problemi e a concordare modalità adeguate per affrontare i cambiamenti possibili in favore della propria salute in generale e, più in particolare, di quella riproduttiva”, spiega il dott. Stefano Angelini, psicologo dell’Università di Padova. Condicio sine qua non per la buona messa in pratica delle raccomandazioni e dei consigli derivanti dal counselling preconcezionale, è che essi derivino da personale sanitario di fiducia, dal medico di base al ginecologo, che insieme allo psicologo dovranno valutare l’intenzione della coppia di avere un bambino e suggerire loro un ventaglio di comportamenti e stili di vita che consentano di evitare situazioni di rischio, portando contemporaneamente a galla le loro paure per poterle affrontare insieme, così da creare condizioni di serenità favorevoli all’accoglienza del nascituro.
In un’ottica di prevenzione non si può dimenticare che esiste uno strumento valido ed efficace per individuare la presenza di malattie rare prima ancora del manifestarsi dei sintomi. È lo screening neonatale, grazie a cui si possono identificare correttamente i soggetti affetti da patologie congenite, prima ancora che appaiano i primi sintomi, ottimizzando la loro qualità di vita e quella delle famiglie che li assistono. “L’importanza dei programmi di screening neonatale è particolarmente evidente nei casi in cui esista un percorso terapeutico specifico o migliorativo verso cui indirizzare in breve tempo i bambini risultati positivi”, afferma il prof. Fabrizio Seidita, presidente dell’Associazione Italiana Glicogenosi (AIG) e del Movimento Malati Rari (MIR), a conferma della validità di questo semplicissimo ed economico esame che è entrato a far parte dei nuovi LEA, portando ad oltre 40 il numero di patologie individuabili. Nonostante questo riconoscimento sul piano nazionale, manca ancora un livello di uniformità tra tutte le Regioni nell’introduzione dei programmi di screening neonatale non invasivo, rendendo necessaria la coesione dei reparti di pediatria che devono contribuire ad incentivare le coppie a farvi ricorso per migliorare non solo la qualità, ma anche l’aspettativa di vita dei bambini.
Counselling preconcezionale e screening neonatale non invasivo sono due strumenti che, in qualche maniera, anticipano la malattia. Ma nel momento in cui i genitori devono fare i conti con la notizia di un figlio affetto da una patologia rara, cronica e/o invalidante, subentra una raffica di ostacoli che vanno superati prima di tutto sul piano psicologico, per evitare che la relazione di coppia possa essere messa a dura prova. “Sia che tale scoperta avvenga nella fase preconcezionale o dopo la nascita, i genitori sono chiamati a ricostruire l’immagine di un figlio sano, lasciando posto alla preoccupazione per il suo futuro sia in termini fisici e di salute, che in termini sociali e relazionali”, continua Angelini. “Le reazioni che possono scaturire, tutte giustificabili, possono variare dalla negazione della diagnosi alla fuga, dalla tristezza alla colpa, da un disagio passeggero ad un disagio psicologico che può perdurare nel tempo. È in questa fase che il supporto dello psicologo risulta fondamentale per risolvere quelle situazioni in cui emerge un disagio che, anche con l’aiuto della famiglia e degli amici, non trova risposte e non si lenisce con il passare del tempo”. Non bisogna mai smettere di chiedersi quale può essere la reazione di un genitore che affronti il fatto che la vita del figlio potrebbe terminare molto prima della propria: le reazioni della madre e del padre riflettono la diversità con cui uomini e donne si approcciano alla vita. Generalmente, sono più emotive le donne, e più razionali gli uomini. In questo senso, una madre tende a stringere il rapporto col figlio, occupandosi della gestione delle terapie e accudendolo senza sosta, rinunciando ai propri spazi personali, mentre il padre guarda più all’esterno e proietta il suo sguardo sul futuro, concentrandosi sul sostentamento. Le logiche antropologiche che governano queste nuove dinamiche familiari vanno comprese e indirizzate, anche e soprattutto nel rispetto di un eventuale fratello sano – il sibling – e anche in prospettiva di un altro figlio. “Talvolta, i fratelli possono sentirsi soli e abbandonati da genitori troppo spesso occupati dai bambini malati, oppure gelosi per le attenzioni che vengono rivolte al fratello”, spiega Angelini. “L’esistenza di un figlio sano non è facile, tanto da spingerlo a vedere la propria salute come un elemento ostativo alle attenzioni dei genitori. Accade che possa essere lasciato all’autodeterminazione e costretto a imparare a prendersi cura di sé precocemente, per questo i genitori devono necessariamente coinvolgerlo in ogni fase della vita del fratello malato, dandogli un ruolo attivo nella presa in carico del fratello malato così che possa sentirsi utile e non escluso, parte di una famiglia unita”.
Un altro punto focale è dato dalle modalità con cui viene comunicata la diagnosi. La comunicazione della diagnosi diventa efficace nel momento in cui sa mescolare in maniera armonica una componente razionale, una psicologica e una più prettamente organizzativa. È necessario progettare il momento e strutturarlo anche in più colloqui, se necessario, ricorrendo a termini chiari e comprensibili e ad esempi. Il medico deve poter dialogare con i genitori, prestando attenzione alle loro preoccupazioni, fornendo loro i mezzi per crearsi un’immagine realistica della situazione, senza che per questo si sentano soli. “In questa fase è fondamentale che l’equipe multidisciplinare spieghi quali siano le reali implicazioni sulla salute e sulla vita del bambino, oltre ad indicare, in caso di diagnosi di malattia rara, quali siano i centri con riconosciuta esperienza nella diagnosi, nel follow-up e nella presa in carico dei piccoli pazienti”, prosegue Angelini. Da qui, è importante partire con un percorso clinico e riabilitativo che metta al centro il bambino con la sua famiglia e lo collochi all’interno di una rete di centri specifici che sappiano prestare la massima attenzione ai suoi bisogni e a quelli dei genitori.
“Inoltre, è opportuno costituire Associazioni di pazienti o di genitori di figli con malattia rara, all’interno delle quali confrontarsi circa i timori e le aspettative. In Italia ne esistono circa 400, e spesso nascono per volontà di genitori o parenti di bambini affetti da malattie rare”, chiarisce Seidita. “Un altro concetto molto importante e che la “malattia rara”, specie quando riguarda un bambino, diventa la “malattia della famiglia”, con degli aspetti non solo di tipo gestionale e terapeutico, ma anche di tipo economico. Per quelle famiglie che diventano monoreddito sarebbe pertanto opportuno pensare ad ammortizzatori sociali, quali, ad esempio, mutui e affitti calmierati o agevolazioni fiscali”.
Neppure l’aspetto delle cure è secondario, se si considera che i genitori sono i primi infermieri per i loro figli. “La famiglia ha un ruolo importante nell’organizzazione delle cure al domicilio, specialmente se si tratta di bambini affetti da patologie cliniche complesse e che richiedono un’attenzione particolare, evitando trasporti pericolosi presso le strutture ospedaliere per effettuare le terapie”, specifica Seidita. L’aderenza alla terapia rappresenta la misura in cui un paziente segue le indicazioni e le raccomandazioni terapeutiche formulate dal personale sanitario, sia in merito ai tempi, che alla dose e all’assunzione del farmaco. Ciò che risulta indispensabile è la stretta relazione tra l’aderenza terapeutica ed il coinvolgimento attivo del paziente nella pianificazione e nell’attuazione del trattamento. Gli aspetti emotivi correlati al monitoraggio della terapia e alla somministrazione dei trattamenti non vanno sottovalutati, dal momento che questi frangenti sono carichi di emotività e speranza e devono svilupparsi nel contesto di centri specializzati all’interno dei quali operino professionisti di settori diversi, che possano fornire indicazioni sui maggiori aspetti legati alla malattia. “Portare le cure al domicilio del bambino ed evitare la sofferenza di trasporti fastidiosi e spesso difficili, affinché il piccolo paziente possa beneficiare al massimo degli affetti che si sviluppano all’interno di un sistema familiare conosciuto e protettivo, sarebbe il modo più appropriato affinché l’aderenza terapeutica possa essere ottimale”, conclude Seidita.
“Genitori e malattie rare” è uno degli articoli contenuti nel numero 13 della rivista Extra Moenia, il magazine monografico quadrimestrale promosso da Fondazione Eris in collaborazione con Fondazione Giannino Bassetti, pubblicato in versione cartacea dall’editore internazionale Pearson per Bruno Mondadori (sezione Ricerca). Nato nel 2013, il periodico rappresenta l’espressione del centro studi Extra Moenia, ed è dedicato all’approfondimento di temi relativi al sistema sanitario italiano, al generale contesto socio-sanitario e alle ultime evoluzioni in ambito clinico e scientifico.
La pubblicazione integrale dell’articolo “Genitori e malattie rare” è stata gentilmente concessa ad OMaR dal Comitato di Redazione di Extra Moenia.