Mechanism of RNA recoding: New twists in brain protein production
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“Luigi Naldini, un “cervello” rientrato dagli Usa, racconta la sua esperienza e le prospettive: “Niente trionfalismi”
Lui è torinese, ha 46 anni e guarda lontano. Nel 1983 fresco di laurea in medicina e chirurgia decise di scalare la ricerca di base. Ma la ricerca oltre ai cervelli vuole denari. Così il giovane Luigi Naldini prende la valigia. Gli Stati Uniti lo accolgono, eccome. Prima l’East Coast, poi la West Coast. Intanto mette su famiglia. Infine, il ritorno e un incarico di prestigio per Telethon al Tiget di Milano.
Professor Naldini la sua è la storia di tantissimi ricercatori italiani, è cambiato qualcosa negli ultimi anni?
“La mia è stata un’esperienza molto importante, ho lavorato in alcuni dei maggiori Centri di ricerca a livello mondiale. Oggi mandiamo all’estero giovani più maturi dopo aver affrontato un primo training. Fare ricerca in Italia non è utopia purché venga finanziata cosa che da sempre da noi fa il privato”. Lei è passato dalla biologia molecolare alla terapia genica. Quest’ultima è assai controversa. C’è un futuro?
“La ricerca di base è lunga e non bisogna creare attese esagerate. Qualche piccolo successo c’è. Nelle immunodeficienze come l’ADA-SCID (Adenosina De Aminasi-Severe Combined Immuno Deficiency) è stato possibile curare, non senza problemi, sei bambini costretti a vivere in bolla sterile, ricostruendo il loro sistema immunitario. Abbiamo inserito un gene sano nelle cellule staminali. Per far integrare il gene con il Dna delle staminali si è utilizzato un retrovirus “addomesticato” affinché il gene non fosse virale ma terapeutico. Il resto è stato facile: le staminali hanno trasmesso il gene curativo alle altre cellule figlie del sangue”.
E per le malattie neurodegenerative, professor Naldini? “L’approccio è un po’ diverso perché non abbiamo un target cellulare preciso. Le cellule malate sono nel cervello e nei nervi quindi molto diffuse. Nelle leucodistrofie, malattie gravissime che portano a morte in breve tempo i piccoli malati, usiamo un lentivirus che “addomesticato” è assai più potente del retrovirus. Le staminali modificate si trasformano, tra le altre, in cellule spazzine, come i macrofagi, che ripuliscono il sistema nervoso centrale e periferico. La sperimentazione ha avuto successo sui topolini e tra un paio d’anni inizierà una sperimentazione molto rigorosa sui piccoli pazienti. Per ora al TIGET è partita l’Unità clinica con neurologi che stanno seguendo sotto il profilo clinico una ventina di bambini provenienti da tutto il mondo”.
Professore il suo ritorno è definitivo?
“Il ricercatore deve seguire il suo progetto, non è importante dove ma come. Penso spesso alla disperazione dei genitori di questi bambini. Cambiare paese non è un dramma. Possiamo fare di più, tutti devono aiutarci”.
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