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13 Gennaio 2012Diagnosi delle patologie gravi bloccate dalla burocrazia
Diagnosi delle patologie gravi bloccate dalla burocrazia
La sanità italiana dispone di una macchina donata dai cittadini, capace di diagnosticare 40 tipi di malattie metaboliche, ma che non viene utilizzata a pieno regime per colpa della burocrazia
Diagnosi delle patologie gravi bloccate dalla burocrazia
La sanità italiana dispone di una macchina donata dai cittadini, capace di diagnosticare 40 tipi di malattie metaboliche, ma che non viene utilizzata a pieno regime per colpa della burocrazia.
Emilio Casalini
A Padova inutilizzata, dentro un laboratorio nuovo di zecca, c’è una macchina in grado di scoprire nel sangue dei neonati oltre 40 tipi di malattie metaboliche ereditarie, ossia quelle patologie che, a causa di un malfunzionamento genetico degli enzimi, trasformano un nutrimento benefico come le proteine in veleno per l’organismo. Un veleno che distrugge il cervello, un veleno che uccide. Sono malattie rare e terribili, ma che se diagnosticate nei primi giorni di vita, possono essere curate e permettere una vita normale.
L’apparecchiatura si chiama Tandem Massa Spettrometria e non è costata nulla alla martoriata sanità pubblica visto che nel giugno 2010 è stata regalata all’ospedale di Padova dall’associazione COMETA ASMME. Oltre 300mila euro spesi per i macchinari e altri 400mila messi dall’ospedale per attrezzare il laboratorio, tutto fermo in attesa di una delibera regionale che sblocchi il finanziamento e autorizzi le analisi. Una delibera che non arriva perché in Veneto, a Verona, c’è un altro laboratorio che effettua solo le tre analisi obbligatorie previste dalla legge dato che non possiede l’attrezzatura in grado di scoprire le altre 40 patologie più rare come invece ha Padova. Per non chiudere uno non si fa lavorare l’altro, questa è l’accusa che da molte voci si è alzata contro l’assessore regionale alla sanità, il veronese Luca Coletto. “La realtà è che mancano i soldi” ribatte l’interessato “perchè questo tipo di analisi non è prevista dai Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria nazionale, per cui il finanziamento deve essere trovato all’interno del bilancio regionale”. Nel frattempo, rispondendo alle denunce pubbliche di immobilismo e di inefficienza mosse dalle associazioni dei malati attraverso le pagine dei quotidiani locali, il 29 dicembre scorso Coletto ha fatto approvare dalla Regione la delibera 2563 dichiarando di aver finalmente sbloccato la situazione. Peccato che nella delibera non ci sia traccia della tanto attesa autorizzazione per far partire gli strumenti, ma solo un impegno generico per la creazione di una futura commissione di esperti (anche loro ancora da definire) che studierà un protocollo per passare dalla fase sperimentale a quella operativa. Dato che la fase sperimentale non è nemmeno mai iniziata e che la commissione non si sa quando si farà, si finisce alle calende greche.
Nella stessa delibera inoltre hanno previsto di duplicare i centri, comprando una macchina simile anche per Verona. Una scelta difficile da capire nell’ottica di una razionalizzazione delle risorse, visto che questo tipo di strumentazione può effettuare anche 150mila test all’anno, mentre in Veneto nascono circa 50mila bambini, cioè il numero minimo per cui sotto il quale diventa antieconomico comprare questo tipo di macchinari. In quel caso è meglio usare quelli di una regione vicina, come fa l’Umbria che infatti si appoggia ad una Toscana ben contenta di aumentare il proprio bacino. In Veneto, invece, la regione vuole averne addirittura due, di centri con un budget di quasi 3 milioni di euro, 55 euro a bambino, che dovrà essere trovato da qualche parte, come dichiara l’assessore. Sembra però trascurato un fatto, cioè che le analisi effettuate ad oggi su tutti i neonati così come il personale tecnico che le compie, costano circa 20 euro per bambino e sono già coperte dagli attuali budget di spesa, e che la macchina di Padova copre chiaramente anche i test di base, per cui restano da trovare solo i 35 euro per i test supplementari, cioè 1,7 milioni di euro, un milione in meno di quanto calcolato dall’assessore. A patto di avere solo un centro: con due il costo ovviamente raddoppia.
Sulla querelle dei centri di analisi continua a consumarsi la guerra tra le due aziende ospedaliere venete, quella di Padova e quella di Verona il cui esito sembra oggi pendere a favore della città scaligera, nel cui consiglio comunale sedeva, prima della sua nomina alla sanità regionale, proprio l’assessore Coletto. Un fido di Flavio Tosi, il sindaco di Verona che era stato candidato dallo stesso Bossi alla guida della regione Veneto e che, forse per timore di perdere il municipio strappato nel 2007 al PD, aveva poi rinunciato. Il premio, ipotizza Claudio Sinigaglia, consigliere regionale PD, potrebbe essere stata la garanzia di mettere Verona in una posizione di privilegio sulla scacchiera della sanità regionale, di cui lo stesso Tosi era stato l’assessore dal 2005 al 2007. Si tratta comunque di una guerra senza esclusione di colpi, come testimonia la decisione, nell’aprile 2011, di chiudere la scuola di specializzazione cardiochirurgica patavina, un’altra eccellenza a livello internazionale (fu qui che nel 1985 l’equipe del professor Gallucci effettuò il primo trapianto di cuore in Italia) per spostarla da Padova proprio a Verona. Una battaglia politica che non interessa Anna Maria Marzenta presidente dell’associazione Cometa ASMME: “Abbiamo regalato la macchina all’ospedale di Padova solamente perché qui e non a Verona c’è anche un reparto di cura, il cui primario dott. Burlina, stimato in tutto il mondo, è uno dei cinque specialisti esistenti in Italia. Una diagnosi senza la cura non ha senso.” Campanilismi e scontri di potere giocati sulla pelle dei bambini dato che a tutti i neonati che nascono in Veneto viene oggi negata la possibilità di una diagnosi per decidere se avranno un futuro di vita normale, di sofferenza o di morte, mentre la macchina che può fornire queste risposte rimane spenta in fondo ad un laboratorio.