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Presentato ieri il rapporto sul ‘Percorso nascita’ con un focus sul tema
Inserire nei LEA a livello nazionale lo screening metabolico allargato, definire criteri chiari da dare alle Regioni sul panel di malattie sulle quali indagare, sul metodo per farlo e sullo standard minimo dei servizi – chiarendo che ulteriori interventi possano essere solo migliorativi – e garantire ai neonati e alle loro famiglie l’esistenza non solo di un esame una tantum alla nascita ma di un vero e proprio percorso integrato di diagnosi e presa in carico sia sanitaria che sociale.
Sono queste le tre principali richieste avanzate da Cittadinanzattiva e scaturite dall’ampio lavoro di ricerca fatto in occasione della preparazione del rapporto: “Percorso nascita, indagine civica sull’accesso alle prestazioni sanitarie” un documento che contiene anche un focus sugli screening metabolici allargati. Il rapporto, presentato ieri mattina in un convegno che ha visto la partecipazione dei rappresentanti del mondo scientifico, delle associazioni dei pazienti e delle istituzioni, è stato sostenuto dal contributo non condizionato di Genzyme, azienda del gruppo Sanofi.
Dal rapporto emerge che, allo stato attuale, se anche gli screening attualmente obbligatori hanno un’ampia copertura esistono comunque delle situazioni in cui nemmeno questi vengono ancora assicurati ai nuovi nati. Per quanto riguarda invece gli screening metabolici allargati – quelli sui quali esiste oggi un maggior dibattito – la situazione è molto più complessa: non essendoci una legge nazionale gli orientamenti sono differenti ed esiste una grande difformità di applicazione da Regione a Regione. Diverso è infatti il panel di malattie su cui le singole regioni effettuano il test alla nascita e diverse sono anche le modalità.
Toscana, Liguria, Umbria, Sardegna e Trentino sono le regioni con programmi di screening più ampi. La Toscana si è dotata di una propria normativa regionale ed effettua l’esame per ben 40 patologie: l’Umbria, grazie ad una convenzione, beneficia di questo stesso regime inviando i propri campioni al Meyer di Firenze, così come la Sardegna fa con la Liguria.
Il Lazio, pur avendo un programma di screening regionale, non ha una copertura totale: in questa regione, infatti, sono esaminato solo i campioni dei neonati nelle strutture che afferiscono al Policlinico Umberto I. La situazione dunque non è uniforme nemmeno all’interno delle regioni stesse: in Sicilia e anche in Lombardia ci sono differenze da città a città.
Peggio in Abruzzo, Campania, Calabria e Puglia dove dall’indagine di Cittadinazattiva non risulta l’erogazione dello screening metabolico allargato.
Diverso è il caso dell’Emilia Romagna che recentemente ha aperto lo screening ad un panel ristretto di malattie metaboliche suscitando le proteste delle associazioni pazienti.
Una situazione ad oggi piena di disparità: per dare un quadro globale di questo basta dire che rispetto al totale delle strutture oggetti di indagine lo screening metabolico allargato viene eseguito dal 44 per cento dei centri, il 48 per cento non lo effettua e l’8 per cento non risponde al quesito. Nella grande maggioranza dei casi questi screening, laddove presenti, vengono erogati gratuitamente e solo nel 5 per cento dei casi vi è da parte delle strutture una richiesta economica ai genitori.
Sulla necessità di aprire allo screening metabolico allargato con una cabina di regia che sia finalmente nazionale, superando le disparità che il federalismo sanitario ha inasprito, il consenso è unanime sia tra le associazioni pazienti e le loro federazioni sia tra le società scientifiche: le differenze quando ci sono riguardano soprattutto il panel di malattie da cui partire e le modalità di consenso informato, divergenze superabile con un confronto tecnico e scientifico ormai da tempo avviato grazie a numerosi progetti, alcuni conclusi ed altri nuovi e ancora in corso, come uno, biennale, appena avviato dall’ISS.
Nessun dubbio invece sul fatto che gli screening vadano considerati non come un costo ma come un investimento e probabilmente come futura fonte di risparmio sia sul fronte dei costi economici – perché i costi della disabilità derivanti da una mancata diagnosi sono altissimi – sia sul fronte dei non meno importanti costi umani.
“Nelle malattie rare il ritardo della diagnosi è nella maggior parte dei casi di diversi anni – spiega a questo Riccardo Palmisano, Amministratore Delegato di Genzyme, una società del Gruppo Sanofi, e Vice Presidente delegato di Assobiotec – Questo espone le famiglie dei malati a gravi disagi dal punto di vista economico e psicologico, ma soprattutto mette a repentaglio la vita stessa dei piccoli pazienti. Inoltre, i ritardi e gli errori diagnostici producono una vasta area di inappropriatezza clinica che genera, in molti casi, una spesa inutile. Tutto questo si può evitare grazie alla prevenzione. Con gli screening neonatali è oggi possibile individuare la presenza di malattie metaboliche rare sin dai primi giorni di vita e intervenire con terapie dietetiche o farmacologiche efficaci prima che queste causino esiti devastanti. L’art 5 del decreto Balduzzi – prosegue Palmisano – laddove dispone l’aggiornamento dei LEA con riferimento alle malattie rare, offre una straordinaria opportunità: inserire gli screening neonatali nei Livelli essenziali di assistenza. Portare a livello nazionale il coordinamento di questa importante attività che risulta ancora diffusa a macchia di leopardo, sarebbe estremamente utile per rendere equo l’accesso ad un importante servizio che per alcune malattie fa la differenza tra una vita normale e una vita gravemente invalidata e drammaticamente breve. Perché in futuro nascere nella regione sbagliata non possa mai più essere fatale”.
Sull’importanza della prevenzione si è concentrato anche l’intervento di Flavio Bertoglio, presidente della Consulta Nazionale delle Malattie Rare. “Gli screening allargati sono uno strumento già in uso in poche Regioni – ha detto – scoordinato in altre. Mentre è ormai noto che il ritardo di anni alla diagnosi espone la famiglia a gravi danni psicologici ed economici. Nei bambini non diagnosticati tempestivamente la malattia progredisce indisturbata, sino alla disabilità grave, gravissima, talvolta con esiti fatali. Inserire le malattie genetiche metaboliche con terapia nell’allegato 1 della legge di conversione del decreto che ha istituito i LEA, potrebbe cambiare la vita di moltissimi bambini che nasceranno e delle loro famiglie. Rimediare agli errori ed ai ritardi diagnostici che producono insufficienza clinica, spese inutili e danni irrimediabili è possibile solo con un’adeguata e capillare opera prevenzione ed un incisivo lavoro di squadra da parte di tutti gli attori del sistema”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’intervento delle altre associazioni e coordinamenti dei pazienti, da Eurordis e Uniamo fino alle due associazioni che si occupano in maniera specifica di screening: AISMME e Cometa Asmme.